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Napoli è uno luogo comune, è capitale e provincia, è mille colori e disordine. È un paradiso abitato da diavoli, secondo un’espressione famosa erroneamente attribuita a Johann Wolfgang von Goethe e a Benedetto Croce. È un microcosmo che racchiude tante realtà tutte insieme, così tante che forse nemmeno sono in equilibrio stabile.
Vivere all’interno di questo caos calmo può essere funambolismo, un esercizio di precarietà costante senza rete di protezione. Lo è per molte donne: nascere donna a Napoli significa quasi sempre avere un peso doppio sulle spalle. Vale anche nel resto d’Italia, ma in una città che vorrebbe essere la terza più grande del Paese e la regina del Mezzogiorno non è ammissibile un determinismo geografico così crudele. |
A Napoli abitano circa 900mila persone, che diventano oltre 3 milioni se si allarga alla città metropolitana
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Welfare state a singhiozzo In altre città metropolitane, come Milano, Torino, Roma il mondo del lavoro è ancora diseguale sulla faglia del genere, ma alcuni aspetti dell’imprenditoria e del mercato sembrano voler e poter colmare il gender gap.
A Napoli, nelle periferie come nel centro, il lavoro delle donne è spesso messo in un angolo, considerato secondario, basso, minore per definizione, quindi diventa meno retribuito, meno tutelato, meno ascoltato. E se la seconda metà dello scorso decennio sembrava promettere bene in quanto a possibilità e opportunità di mercato, la pandemia ha strozzato ogni aspirazione, distruggendo sogni e vite. |
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«Lavoravo con mio marito in una pizzeria a San Giorgio a Cremano, lui stava in cucina e io davo una mano, ma con il Covid il locale ha chiuso e ora sono senza lavoro», ci dice Jenny, 43 anni, di Ponticelli, quartiere della periferia Est di Napoli, nell’area interna. |
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Ponticelli è degradata, dimenticata dall’amministrazione centrale, scollegata e sporca. Quasi non ha servizi, il welfare è praticamente assente. Incontriamo Jenny negli spazi offerti da un’associazione di volontariato che dà supporto psicologico e pratico alle donne del quartiere, spesso in difficoltà economiche e lavorative. «Non ho mai vissuto nell’agio, ma avevo la sicurezza di farcela fino a fine mese ogni volta. Ora sono in difficoltà a gestire tre figli, di 19, 15 e 9 anni», dice Jenny.
Per lei l’aspetto economico, in un mondo chiuso in cui il settore pubblico non è al servizio del cittadino, diventa vitale, nel senso letterale del termine: ha una malattia rara, ha già fatto un’operazione chirurgica pericolosa di cui non vuole parlare molto, deve ancora sostenere delle spese mediche tra visite e medicinali, ma le Asl della zona non sono state d’aiuto. |
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La malattia ora sembra stabile, ma la limita, la costringe a rallentare. È invalidante.
«Nella mia vita ho lavorato in fabbrica, ho fatto lavoro di cura in un’abitazione con due anziani, sono stata alla cassa in alcuni negozi, per due anni ho lavorato in un centro di accoglienza per immigrati facendo le pulizie, ho lavorato nelle cucine dei ristoranti. Mai a nero, o quasi», racconta.
Il curriculum è così lungo perché non ci sono contratti stabili, tutele, progetti. Poi Jenny ha sempre scelto di lavorare part time. |
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«Ho sempre cercato un lavoro che mi occupasse la mattina – dice – quando i bambini stavano a scuola. Non volevo lavorare a tempo pieno perché preferisco seguire i miei figli: per me la donna deve lavorare, ma non può stare fuori casa tutta la giornata. L’ho fatto anche da piccola, quando avevo 14 anni e mia madre lavorava molte ore: dopo la terza media stavo in casa, seguivo la famiglia e stavo con i fratelli più piccoli, ho dovuto prendere il posto di mia madre».
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La realtà descritta de Jenny non è rara a Napoli, soprattutto in periferia e in una zona come Ponticelli, che sembra avulsa dal centro della città. Lo conferma anche Annarita, che fa la psicologa e collabora come volontaria con l’associazione:
«Lo Stato e il Comune mancano in tutto, l’assistenza sanitaria ha code anche di 3 anni e mezzo: quando siamo andati a chiedere i medicinali per Jenny pensavamo che fosse uno scherzo. Discorso simile per i mezzi pubblici: partono cinque treni per il centro di Napoli, ma tutti nelle stesse fasce orarie, a distanza di pochissimi minuti, se ne perdi uno li perdi tutti, e le corse successive passano dopo un’ora». |
Il quartiere Ponticelli è interessato da un programma di riqualificazione artistica e rigenerazione sociale con laboratori di street art per bambini e ragazzi |
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Mentalità patriarcale
Lasciando le sale dell’associazione, passeggiando per Ponticelli in una mattina di primo autunno, che a Napoli è spesso una coda lunga e calda dell’estate, entriamo in un bar per un caffè. Qui incontriamo una donna della zona, che a occhio avrà la stessa età di Jenny e la stessa voglia di raccontare la sua storia, ma preferisce rimanere anonima. Lamenta l’impossibilità di uscire dalla mentalità provinciale e periferica del quartiere.
«Le persone che nascono e crescono qua si sentono distanti da Napoli, come se questa non fosse Napoli», dice.
Racconta la sua storia, il legame con sua figlia, quindi il bivio tra famiglia e carriera: «Non ho mai voluto lavorare, o forse volevo anche a un certo punto, ma ho sempre pensato che per una donna fosse più giusto essere prima di tutto una madre».
Per lei, come per Jenny, come per migliaia di altre donne in città, è sempre stato un piano b, l’opzione di riserva, in alcuni casi un intralcio. Per capire i limiti e i dettagli del gender gap nel mondo del lavoro a Napoli bisogna esplorare la dimensione culturale prima ancora di quella economica.
È per questo che dal bar ci dirigiamo verso una scuola, il cuore dell’educazione e della cultura di un Paese. La più grande della zona è l’Istituto comprensivo Purchiano Bordiga, qui ci sono elementari e medie. La dirigente scolastica Colomba Punzo è qui dal 2015 e fin dall’inizio lotta per provare a contenere la dispersione scolastica, i cui i numeri sono storicamente impietosi se paragonati a quelli del centro città.
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«Per me è stata una scoperta – dice la preside – ho trovato un mondo che non ero neanche in grado di immaginare: c’è un livello altissimo di disoccupazione, grande quantità di mamme molto giovani sotto i 20 anni, donne sulla cinquantina che sono bisnonne, famiglie plurigenitoriali o monogenitoriali. Qui povertà culturale e povertà economica si affiancano e si alimentano a vicenda». È una combinazione che impedisce alle donne di avere un esempio positivo, di creare dei modelli a cui aspirare. «Le donne del nostro territorio non hanno speranza di futuro, non hanno speranza di lavoro», dice Colomba Punzo. |
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| Mentre parliamo interviene una collaboratrice della scuola: presenta un documento per un caso di affidamento di uno degli studenti. |
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Analizzare, descrivere, raccontare la condizione delle donne nel mondo del lavoro napoletano è un lavoro articolato che non può esaurirsi in queste righe. Ma un viaggio tra le diverse realtà della città può aiutare a svelare almeno una parte del quadro generale.
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Le case popolari di Ponticelli |
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E nelle università?
Non distante da Ponticelli, procedendo verso il mare, arriviamo a San Giovanni a Teduccio, quartiere di Napoli con il più alto tasso di disoccupazione, con numeri enormi per richieste di reddito di cittadinanza e altrettanto alte per lavoro nero e disoccupazione femminile. Stando a dati elaborati dai ricercatori di Noi@Europe, qui solo il 12,8% delle donne ha un lavoro.
San Giovanni è soprattutto una grande occasione persa, per Napoli: la distanza tra le zone più in difficoltà – tra cui il Bronx, in cui spiccano gli enormi murales di Jorit Agoch con i volti di Maradona e Che Guevara – e la sede della Developer Academy della Federico II è di circa un chilometro in linea d’aria, 10 minuti a piedi. Ma evidentemente la presenza dell’ateneo non è bastata per portare benefici al territorio.
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È proprio da uno dei maggiori poli universitari in Italia, la Federico II di Napoli, che scatta l’allarme sulle disparità di genere nella città partenopea. Il bilancio di genere dell’ateneo rivela che a fronte di un aumento nel numero di donne che intraprendono il percorso universitario fino a conseguire il dottorato di ricerca, le posizioni apicali e alcuni ambiti del sapere restano di dominio maschile.
Studentesse e laureate sono la maggioranza, ma 3 cattedre su 4 vanno agli uomini. Quest’ultimo dato può aiutare a inquadrare gli ostacoli culturali e strutturali che determinano, da un lato, l’abbandono della carriera scientifica da parte delle donne e, dall’altro, il persistere nelle istituzioni di un meccanismo di segregazione orizzontale e verticale, con alcune aree e posizioni ad appannaggio esclusivo di un genere. Anche tra il personale tecnico amministrativo ci sono disparità significative, come la separazione tra mansioni tecniche-scientifiche, di appannaggio maschile, e ruoli di responsabilità nel campo gestionale-amministrativo, solitamente occupati dalle donne. |
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«Continuiamo ad avere una forte separazione degli studenti maschi in percorsi scientifico-tecnologici, e una maggioranza delle studentesse in studi umanistici, che poi sono quelli con meno sbocco occupazionale e salari mediamente più bassi», dice la professoressa Antonella Liccardo, che si occupa di stilare il bilancio di genere alla Federico II. |
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Nelle aree STEM – acronimo che indica Science, Technology, Engineering and Mathematics –, spiega la professoressa, c’è un imbuto che nasce dall’assenza di modelli e di esempi da seguire. E si traduce in una disparità successiva, quando la formazione deve essere tradotta nel mondo del lavoro. Questa netta differenza alimenta a sua volta stereotipi e immobilismo: generazione dopo generazione la segregazione orizzontale si ripete, inesorabile.
«I problemi del nostro ateneo sono gli del lavoro fuori dall’ateneo», aggiunge la professoressa Liccardo. |
Developer Academy di Napoli |
Disoccupazione alle stelle
In Campania il tasso di occupazione tra i 15 e i 64 anni è molto basso, al 41,3%, a fronte di un tasso medio per l’Unione europea del 68,4%, e di una media nazionale del 58,2%. L’occupazione femminile, secondo i dati Eurostat, rivela disparità ancora maggiori nella fascia tra i 15 e i 64 anni: in Campania è del 29,1%, a fronte di una media Ue del 63,4% e una media italiana del 49,4%.
E se la media europea calcola un 82,5% di donne occupate con un diploma di laurea, e in Italia siamo al 76,4%, lo stesso dato in Campania crolla al 64%. Questi numeri sembrano dire che per qualcuno c’è speranza, delle opportunità ci possono essere. Ma sono poche e le speranze sono flebili. Chi può, preferisce andare via. Le ragioni si comprendono facilmente.
I numeri sono peggiorati con la pandemia, uno tsunami che ha rivoltato il lavoro femminile in Campania e a Napoli. Nel 2020 è aumentato il part time involontario, motivato non dall’esigenza di conciliare lavoro e vita privata ma dalla carenza di opportunità di lavoro a tempo pieno. Nel 2020 sono state 42mila le donne che in Campania hanno perso il posto di lavoro, secondo l’Istat. In soli nove mesi, un’emorragia di licenziamenti e cassa integrazione a cui si aggiunge una pioggia di dimissioni, spesso in bianco. Sono per lo più madri.
«L’emergenza sanitaria – si legge in un report Svimez del 2021 – ha cancellato in un trimestre quasi l’80% dell’occupazione femminile creata tra il 2008 e il 2019, riportando il tasso a poco più di un punto sopra i livelli del 2008». |
Donne, giovani e precari in protesta a Napoli dopo i licenziamenti di Whirlpool |
L’enorme gender gap raccontato dalla professoressa Liccardo e dal bilancio di genere della Federico II si ritrova anche fuori dal mondo accademico: per le donne ci sono poche possibilità di fare carriera, costruirsi un futuro in autonomia, scegliere.
«La pandemia ha distrutto il lavoro femminile anche perché quando è stato tolto il blocco dei licenziamenti le prime a essere licenziate sono state proprio le donne». A dirlo è Cinzia Massa, segretario Cgil Napoli.
Per incontrarla abbiamo attraversato tutto il lungomare napoletano, seguendo la curva del golfo in tutta la sua lunghezza. Siamo a Napoli Ovest, tra le strade perpendicolari di Bagnoli che ospitavano le famiglie degli operai dell’ex Ilva.
Davanti a un caffè in piazza spiega la dinamica dei licenziamenti durante la pandemia:
«Spesso i licenziamenti sono nascosti dietro dimissioni volontarie, che però sono minacce, mobbing, dimissioni forzate: molte volte le donne in attesa di un bambino sono costrette a dare dimissioni in bianco. Appena resti incinta, ti chiedono le dimissioni». |
L'area dell'ex polo siderurgico di Bagnoli è in attesa di bonifica e riqualificazione da più di 40 anni |
Il ricatto del lavoro di cura Anche secondo Cinzia Massa le criticità micro e macroeconomiche si mescolano con gli ostacoli culturali.
«È un meccanismo che non consente alle donne di lavorare: al Sud non c’è welfare, se non ci sono asili, se alla donna è sempre attribuito il lavoro di cura, se è lei a provvedere al marito, alla casa, agli anziani, se non c’è un sistema sociale che aiuta la donna, la donna avrà sistematicamente molta più difficoltà a lavorare». In questa città il problema dei servizi intercetta anche un aspetto geografico. Muoversi a Napoli non è come in altri grandi centri:
«Napoli non è a misura di donne. Mentre Milano, Bologna, che non hanno neanche la densità abitativa di Napoli, si parla di città a 15 minuti, qui in 15 minuti non compri nemmeno l’acqua e il pane».
Con Cinzia Massa ci muoviamo da Bagnoli a Fuorigrotta, tra le strade larghe lo stadio Diego Armando Maradona e la Mostra d’Oltremare, e poi verso la zona a Nord di Napoli, tagliando in due la città. Nel quartiere di Scampia, che nell’immaginario collettivo è soprattutto camorra, piazze di spaccio e criminalità, lo scenario è lo stesso.
«In questa zona c’è grosso numero di donne che lavorano a nero, molte altre però sono incaricate di mantenere le famiglie, o perché sono ragazze madri, o perché hanno i mariti in galera», ci dice Patrizia Palumbo, la presidente dell’associazione “Dream Team”, nata per l’empowerment femminile.
Ci racconta le difficoltà di un quartiere che da anni deve fare i conti con uno stigma alimentato da racconti, cultura pop e falsi miti. Il quartiere nasce con un progetto, avrebbe dovuto essere la casa di lavoratori e middle-class, poi il terremoto ha scompaginati i piani creando l’emergenza abitativa. Qui il lavoro femminile scompare nel sommerso del lavoro nero, nell’intimità delle case e delle famiglie.
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«Quel che cerchiamo di fare noi è un lavoro sulla prevenzione: partiamo da bambine e ragazzine», dice Palumbo. «In queste zone anche la dispersione scolastica ha un gender gap considerevole, perché le ragazzine spesso non vanno a scuola per stare a casa a guardare i fratellini piccoli mentre i genitori lavorano, questo non capita ai ragazzi. Gli asili nido non ci sono, così come mancano altri servizi che aiuterebbero a rendere più fluida la gestione familiare tra genitori e figli».
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| Se manca l’istruzione di base, diventa difficile aspirare a un lavoro di un certo tipo in futuro: «Il gender gap nella dispersione scolastica non è solo un numero: sul lungo periodo diventa una condanna a un certo tipo di lavoro, di livello culturale, di vita», spiega Palumbo.
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Il riscatto di Scampia
Scampia non è solo degrado e malavita come raccontano film e serie tv, al netto di alcuni stereotipi che vengono confermati dalla realtà. Qui nella primavera 2022 ha aperto un nuovo polo dell’Università Federico II, ospita corsi di laurea in professioni sanitarie: migliaia di studenti stanno popolando Scampia per frequentare le lezioni.
Si tratta di un complesso realizzato su progetto redatto da Vittorio Gregotti, sorge nell’area in cui prima incombeva la Vela H, poi rasa al suolo. È il coronamento di un progetto iniziato più di 15 anni fa, andato avanti tra ritardi e stop improvvisi, ma fortemente voluto da Gaetano Manfredi, prima rettore dell’ateneo e poi sindaco di Napoli. Forse è ancora troppo poco, ma trasformazioni come questa possono incentivare una gentrificazione reale, concreta, che sul lungo periodo contribuisce a elevare la qualità della vita almeno in una piccola parte della città. Magari incidendo poi sul lavoro, in particolare di quello femminile, motore dell’economia e della vita sociale di una città e di un Paese.
Napoli è invece caotica e immobile, la sua evoluzione è lenta, stanca, fuori sincro rispetto alle altre grandi città europee e italiane: i fattori di crescita che guidano le metropoli, qui sono sopraffatti da limiti e ostacoli antichi. Non c’è un singolo decreto che può cambiare tutto e cambiarlo per il meglio. L’unica scelta è lavorare sul tempo, per un cambiamento che deve essere culturale e strutturale, di lungo periodo. La Napoli del presente è quella che si vede e si conosce attraversando le sue strade. Non è detto che la Napoli del futuro debba essere uguale.
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La nuova sede della Federico II inaugurata a metà ottobre ospita i corsi di laurea in Professioni sanitarie della facoltà di Medicina: accoglierà 2.660 studenti
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Giovani senza mercato, mercato senza giovani Un’inchiesta sul mercato del lavoro Under 30 in Italia
Tra Napoli, Roma e Taranto Primo appuntamento il 9 novembre a Napoli |
Perché lavoriamo? Di cosa parliamo quando parliamo di qualità del lavoro? Giovani senza mercato, mercato senza giovani è un percorso, in collaborazione con The Adecco Group, di tre inchieste in tre città italiane – Napoli, Roma e Taranto – per incontrare le prospettive delle generazioni Under 30 tra ritiro sfiduciato, desiderio di fuga e voglia di riscatto. Ne parliamo durante l'appuntamento QUOTE ROSA, LAVORO NERO. Napoli, tra economia sommersa e disparità di genere NAPOLI 9 novembre, ore 18.30
Libreria Feltrinelli, Piazza dei Martiri Intervengono Alessandro Cappelli Linkiesta, autore dell’inchiesta
Giustina Orientale Caputo Università degli Studi di Napoli Federico II Antonella Liccardo Università degli Studi di Napoli Federico II Modera Marilicia Salvia Il Mattino
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