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– di Alberto Magnani
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LIBIA
Le grandi speranze della conferenza di Berlino
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Khalifa Haftar (Reuters)
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Nella crisi libica, per ora, l'Europa era rimasta sullo sfondo. La cancelliera tedesca Angela Merkel vuole
invertire la rotta con il vertice convocato oggi a Berlino per risolvere lo scontro che vede fronteggiarsi il presidente istituzionale al-Sarraj e il generale ribelle Haftar.
L'obiettivo finale è la firma di un accordo per il cessate il fuoco, forse garantito dall'istituzione di
una forza di «peace monitoring» (leggi: militari che controllano il rispetto degli accordi) con la regia
della Ue.
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Le premesse sono incerte nonostante il parterre di figure radunate da Merkel nelle capitale tedesca: oltre ai due diretti
interessati, al-Sarraj e il generale Haftar, il summit attende l'arrivo del presidente russo Vladimir Putin, del suo omologo turco Erdogan, del segretario
di Stato Usa Mike Pompeo e di diversi leader nazionali, incluso il “nostro” Giuseppe Conte. Peccato che,
ad oggi, il rebus nordafricano abbia abituato a più di un colpo di scena e non si possano escludere anomalie nel
corso dei negoziati. L'ultimo imprevisto si è consumato ieri pomeriggio, quando Haftar ha deciso di bloccare l’export di metà del petrolio libico. Solo una tattica negoziale in vista del vertice di oggi?
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Green new deal, diamo i numeri
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La presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen (EPA)
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La Commissione von der Leyen inizia ad alzare il sipario sul Green new deal, il piano di riconversione ecologica dell'economia
europeo destinato a mobilitare fino a 1000 miliardi di euro nell'arco di 10 anni. Lo schema dovrebbe attingere per 503 miliardi di euro dal bilancio comunitario, per 279 miliardi dal braccio finanziario
InvestEu, per 143 miliardi di euro dal “fondo di transizione equa” e per 112 miliardi dal co-finanziamento
degli stati membri.
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Lo scorso martedì, alla plenaria di Strasburgo, l'esecutivo ha presentato uno dei primi “attrezzi”
destinati a sostenere il maxi-piano ambientale: il cosiddetto Just transition mechanism, meccanismo per la transizione
giusta. Si tratta di un pacchetto da 100 miliardi di euro tra 2021 e 2027 a favore di paesi e regioni più vulnerabili
alla transizione energetica, diviso in tre pilastri: 45 miliardi di euro in arrivo da InvestEu, il vecchio piano
Juncker; 25-30 miliardi da un sistema di prestiti veicolato dalla Banca europea degli investimenti; infine,
nota dolente, solo 7,5 miliardi di euro di risorse fresche previste da un fondo ad hoc, il Just transition fund.
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ANALISI:
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Il fondo green parte con solo 7,5 miliardi di euro di risorse fresche
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Proprio il «fondo di transizione giusta» è l'unico strumento già svelato nei suoi dettagli, con
i primi strascichi di polemiche sulle quote di spartizione dei fondi. Le risorse saranno distribuite, a partire dal
2021, in rapporto al grado di problematicità ambientale di un certo paese, parametro stabilito da fattori come
l'intensità delle emissioni di gas serra o la quota di popolazione occupata in settori che prevedono tecnologie inquinanti.
La Polonia, lo stato membro più avverso a qualsiasi riconversione green della Ue, dovrebbe ottenere l'equivalente di circa 2 miliardi di euro, davanti agli 877 milioni riservati alla Germania. L'Italia dovrebbe accontentarsi di 364 milioni di euro,
poco sopra i 307 milioni destinati alla Spagna.
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Macron e la crisi del Sahel
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Il presidente francese, Emmanuel Macron (EPA)
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Il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato l'invio di 220 militari in aggiunta ai 4.500 già schierati nella cosiddetta Operazione Barkhane: una missione in Africa occidentale per frenare l'escalation
terroristica nel Sahel, la striscia desertica che costeggia i confini meridionali del Sahara. Ex colonie francesi
come Mali e soprattutto Burkina Faso sono al centro di una spirale di violenze che ha trasformato la regione nella testa di ponte di una nuova avanzata jihadista, con tanto di legami diretti allo Stato islamico. L'annuncio è arrivato in un vertice convocato a Pau,
nel sud del paese, tra l'Eliseo e i paese che aderiscono all'alleanza sicuritaria del G5 (Burkina Faso,
Ciad, Mali, Mauritania, Niger).
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Macron ha anche messo in chiaro, se ce ne fosse bisogno, che la Francia non vuole restare da sola nella sfida alle
milizie. Il titolare dell'Eliseo ha chiesto agli Usa di rinunciare ai propri progetti di ritiro parziale delle proprie
truppe dalla regione, ottenendo il gelo della Casa Bianca (fuori di metafora, gli Usa hanno confermato che ridurranno
la propria presenza sul territorio). Potrebbe andargli meglio con i partner europei, richiamati ai propri doveri
nel vertice di Pau. Gli stati membri dovrebbero discutere di un intervento diretto di altri eserciti nazionali in occasione
di una riunione del Consiglio europeo del 26 marzo.
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L'Europa in breve: Iran, auto, Est-Europa
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(EPA)
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•Timido sussulto dell'auto europea. Il 2019 si è chiuso con immatricolazioni in crescita dell'1,2%, con trend di crescita registrati in 20 dei 31 paesi considerati nella rilevazione. L'Italia registra una lievissima
crescita rispetto al 2018, ma resta a distanza di sicurezza dai livelli pre-crisi •Francia, Germania e Regno Unito, i tre paesi europei che hanno aderito all'accordo sul nucleare iraniano,
hanno avviato il 14 gennaio un meccanismo di risoluzione controversie previsto dal testo. Teheran aveva annunciato (o, meglio, minacciato) lo strappo nel vivo delle tensioni con gli Stati Uniti
a seguito dell'uccisione del generale Soleimani •Il cosiddetto gruppo Visegrad, il blocco dei paesi dell'Est, continua a surriscaldare il dibattito giuridico
e politico della Ue. Il Partito popolare europeo, la famiglia del centrodestra a Bruxelles, ha deciso che voterà
a favore dell'attivazione dell'articolo 7 (una procedura disciplinare) contro Ungheria e Polonia, entrambe
accusate di violazione dello stato di diritto per le proprie politiche su immigrazione e magistratura. È uno schiaffo
tutt'altro che indiretto a Fidesz, il partito nazionalista del premier magiaro Viktor Orbán, al momento membro
del Ppe
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