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– di Monica D’Ascenzo
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competenze
Investiamo su di noi e sugli altri
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In Italia oltre un terzo degli adulti è in una condizione di analfabetismo funzionale e quasi la metà ha grosse difficoltà nel ‘problem solving’.
In generale, l’indagine Piacc dell’Ocse sulle competenze degli adulti vede la Penisola agli ultimi posti tra
i Paesi industrializzati (all’ultimo tra i big), con un aumento soprattutto delle persone più in difficoltà
con la lettura e i numeri.
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Le competenze sono «fondamentali per partecipare con successo all’economia e alla società odierna»,
come sottolinea il ‘Programme for the International Assessment of Adult Competencies’, e tanto più necessarie
di fronte alla rapida evoluzione tecnologica, alle sfide della transizione energetica e dell’invecchiamento demografico.
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Gli adulti con le competenze più alte «riescono a gestire meglio le complessità della vita contemporanea»,
ad orientarsi nella massa delle informazioni e «contribuiscono al raggiungimento di decisioni e politiche più consapevoli».
Molti adulti con ridotte competenze, invece, «si sentono esclusi dai processi politici e non hanno le competenze
necessarie per interagire con informazioni complesse in ambiti digitali, il che rappresenta una preoccupazione crescente
per le democrazie moderne».
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Costruire una società con adulti che abbiano alte competenze è un compito della politica, intesa in senso ampio
ed elevato. Un obiettivo che richiede una visione prospettica, strategie da perseguire e impegno in investimenti anche
(ma non solo) finanziari. Questi aspetti non sono nelle possibilità di ognuno, ma quello che sta alle
scelte di ciascuno di noi è aprire un libro piuttosto che (nel senso proprio di “e non”, non nel senso scorretto di “oppure” come viene usato nell’ultimo decennio) un social media, leggere un giornale piuttosto che affidarci a titoli strillati senza fonti certe, andare a
vedere un film piuttosto che passeggiare in un centro commerciale. E poi investire nel futuro, dedicando parte del
nostro tempo aia bambini e ai ragazzi (anche non figli nostri). Aiutando loro a crescere, conoscere, comprendere,
aiutiamo la società tutta a progredire.
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Competenze
1 italiano su 3 è analfabeta funzionale
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In Italia esiste un problema di competenze, come si diceva. A fotografare la situazione è l’indagine Piaac dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) sulle competenze degli adulti, che negli anni 2022-23 ha coinvolto 31 Paesi. In base all’indagine,
in Italia gli adulti di età compresa tra 16 e 65 anni hanno ottenuto in media 245 punti nei test di ‘literacy’
(9 punti sotto la media Ocse), 244 punti in matematica (11 meno della media) e 231 punti nell‘adaptive
problem solving’ (sotto di 15 punti rispetto alla media).
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Nella ‘literacy’ il 35% degli adulti italiani (media Ocse 26%) ha ottenuto un punteggio pari o
inferiore al Livello 1 e rientra quindi nella categoria degli analfabeti funzionali, nel senso che sanno leggere e scrivere, ma hanno difficoltà grandi (o addirittura insuperabili) nel
comprendere, assimilare o utilizzare le informazioni che leggono. Nella definizione Ocse, al Livello 1 (25%
del campione in Italia) riescono a capire testi brevi ed elenchi organizzati quando le informazioni sono chiaramente indicate.
Al di sotto del Livello 1 (10%) possono al massimo capire frasi brevi e semplici. All’estremità
opposta dello spettro (Livelli 4-5), il 5% degli adulti italiani (contro il 12% medio Ocse)
ha ottenuto i risultati più elevati, in quanto possono comprendere e valutare testi densi su più pagine,
cogliere significati complessi o nascosti e portare a termine compiti.
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Anche in matematica il 35% degli adulti italiani (media Ocse 25%) ha ottenuto punteggi pari o inferiore al
Livello 1. Sono in grado di fare calcoli di base e trovare singole informazioni in tabelle o grafici, ma sono in difficoltà
con compiti che richiedono più passaggi (ad esempio risolvere una proporzione) al Livello 1 (24% in Italia).
Al di sotto (11%) possono solo sommare e sottrarre piccoli numeri. Sul fronte opposto, gli adulti ‘high
performers’, ai Livelli 4 o 5 delle competenze matematiche, sono il 6% in Italia, ma molto al di sotto
del 14% medio Ocse.
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Il resto dell’indagine nell’articolo a questo link.
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Povertà educativa
I bambini di oggi sono la generazione più povera
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I dati dell’indagine Ocse sono in linea con quelli di 10 anni fa e in alcuni casi sono in peggioramento. Se non
si investe sul sistema scolastico difficilmente si riusciranno a recuperare posizioni rispetto al vantaggio degli altri Paesi.
E se stiamo ai dati che ci vengono dalle generazioni di oggi, il domani si annuncia in peggioramento.
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I bambini ittaliani oggi sono la generazione più povera in assoluto. A colpirli è un indigenza non solo materiale
ma anche educativa che finisce per compromettere il futuro di circa 1 milione e 295 mila bambini e ragazzi nel nostro Paese: pari al 13,8% del totale. La maggior parte di loro vive nel sud Italia (15,5%)
ma non mancano i minori in povertà assoluta anche al Nord (12,9%) e al Centro (13,1%).
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In generale sono loro i più poveri tra tutte le generazioni: se guardiamo infatti alla quota di indigenti presenti negli altri segmenti generazionali è evidente come siano
il doppio rispetto agli anziani over 65 (6,2%) e superino di gran lunga anche i poveri presenti tra i 35-64enni
(9,4%). Solo nella fascia 18-34 anni la percentuale – pari al 11,8% – si avvicina
a quella dei minorenni.
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Se circoscriviamo lo sguardo agli adolescenti i dati presentati da Save the Children in occasione del convegno “Nuovi
approcci per promuovere aspirazioni e passioni di bambini, bambine e adolescenti” parlano di quasi un adolescente
su dieci (9,4%) tra i 15 e i 16 anni (pari a più di centomila ragazze e ragazzi) in condizioni
di grave deprivazione materiale. Una condizione che si riflette su tutti gli aspetti della vita e ne condiziona pesantemente
aspettative e prospettive.I dettagli dell’articolo di Silvia Pasqualotto.
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in europa
Un giovane su 4 lavora mentre studia
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Sono oltre un quarto, in Europa, i giovani che studiano e lavorano. Lo indicano i dati Eurostat pubblicati a fine
novembre che ha calcolato quanti ragazzi tra i 15 e i 29 anni oltre a essere iscritti a un percorso di formazione superiore,
hanno anche un impiego. Per quanto la maggior parte di loro (il 71,4%) sia ancora fuori dal mercato del
lavoro – anche data l’età -, sono inoltre quasi il 3% di quelli ancora impegnati sui libri,
a cercare attivamente un’occupazione.
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Sul totale, per dare una percentuale precisa, secondo il quadro relativo al 2023 nei Paesi UE sono il 25,7%
del totale i ragazzi e le ragazze che fanno parte di questa fascia di età. Una media questa, derivante da estremi
opposti, che traccia situazioni anche molto distanti tra loro. L’approfondimento a firma di Maria Paola Mosca.
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social media e infanzia
In quali Paesi è già legge il divieto?
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Il tentativo è ambizioso. Introdurre un limite di età per l’uso dei social media (16 anni).
Ci prova l’Australia con una legge approvata dal Senato il 29 novembre e che promette multe fino a 50 milioni di dollari
australiani per le aziende che non faranno rispettare il divieto.
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La nuova legge australiana è la più rigida attualmente in circolazione ma, dalla Cina agli Stati Uniti,
passando per l’Unione Europea, sono moltissimi i Paesi che stanno provando a regolamentare l’accesso di bambini
e ragazzi ai social media, tra leggi sulla privacy e divieti. Il tentativo si inserisce in un più ampio contenimento
del potere delle grandi aziende tecnologiche e tra le crescenti preoccupazioni per la salute mentale dei più giovani.
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I minorenni possono iscriversi ai social network, ma ci sono delle restrizioni che variano da Paese a Paese. Ad esempio,
in Italia, i bambini sotto i 14 anni necessitano del consenso dei genitori. Le piattaforme, inoltre, nei loro
regolamenti hanno delle soglie di età per l’iscrizione ai propri servizi ma, per i delatori, le società
non fanno abbastanza per fare rispettare i loro stessi regolamenti.
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Qui come si stanno muovendo i diversi Paesi, nell’articolo di Greta Ubbiali.
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diritti umani
Un bambino su tre vive in Paesi che non lo rispetta
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Un percorso lungo ancora 113 anni: è questo il tempo necessario, ai ritmi attuali, perché le donne e
i bambini dei 157 Paesi considerati siano testimoni della piena attuazione dei diritti monitorati dal ChildFund Alliance World Index. Nel 2023, infatti, un bambino e bambina su tre e più di una
donna su quattro vivono in Paesi in cui l’implementazione dei diritti umani è limitata o minima.
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Il ChildFund Alliance World Index è ‘erede’ del WeWorld Index pubblicato da WeWorld, membro italiano
della rete globale ChildFund Alliance che raggruppa 11 organizzazioni umanitarie, raggiungendo 30 milioni di persone in
70 Paesi). L’Indice è il risultato della aggregazione di tre sotto-indici (contesto, bambini/e,
donne) ognuno dei quali prevede ulteriori livelli per un totale di 30 indicatori.
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Nel rapporto che riporta la situazione al 2023, presentato lo scorso 13 novembre alle Nazioni Unite, c’è
una mappa che ‘colora’ con 6 gradazioni i Paesi, andando da un livello di implementazione ‘avanzata’
ad uno in cui è ‘minima’: nei primi tre posti si trovano Svezia, Islanda e Norvegia mentre chiudono
Niger, Repubblica Centrafricana e Ciad.
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In questa ‘classifica’, l’Italia si trova al 34mo posto , come scrive Barbara Nepitelli, nella fascia in cui è stata accertata una implementazione ‘forte’ (la seconda). Naturalmente
si tratta di un livello Paese complessivo, che non tiene conto di eventuali differenze territoriali. L’Italia
si posiziona nella stessa fascia, al 32mo posto, se si guarda il sotto-indice ‘contesto’ che tiene
conto dei fattori: ambiente, casa, conflitti e guerre, democrazia e sicurezza e accesso all’informazione.
Un miglioramento più marcato si registra, rispetto al 2015, per quanto riguarda il sotto-indice relativo
alle condizioni di bambini e bambine con la presenza nella fascia più alta (25mo posto, soprattutto grazie a
un progresso significativo della salute mentre sono meno marcati i passi avanti nei settori del capitale umano e del capitale
economico.
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diritti umani
Donne tra apartheid di genere e tutele negate
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Qualche giorno fa in Afghanistan alle donne sono state vietate anche le scuole di ostetricia e ginecologia, fra le poche
che potevano ancora frequentare. Un’altra pesante violazione dei diritti umani delle donne che, in Paesi come
l’Afghanistan, versano in una situazione drammatica, ma che anche in Occidente non godono di ottima salute.
Basti guardare a indicatori come i femminicidi (ancora circa uno ogni tre giorni in Italia, seppur ci sono lievi miglioramenti),
o come la quota di donne che lavora (in Italia stimato al 53,6% ancora sotto la media Ue) o che ha un conto
in banca (solo il 58% ne ha uno intestato personalmente).
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Il 10 dicembre si celebra la Giornata internazionale dei diritti umani nel giorno dell’anniversario della firma della
Dichiarazione universale dei diritti umani adottata dall’Assemblea delle Nazioni Unite nel 1948. Una pietra miliare
importante, coeva alla nostra Carta Costituzionale che, all’articolo 3, vieta, tra le altre, le
discriminazioni in base al sesso. L’impianto normativo, migliorato a livello internazionale e nazionale negli
anni successivi, ha portato e accompagnato indiscutibili miglioramenti nella condizione femminile, soprattutto in
Occidente.
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Ma la giornata del 10 dicembre è anche un’occasione per fare un bilancio e guardare a quanto ancora resti da fare
se ci sono Paesi dove le donne non possono ancora votare, lavorare, guidare, studiare, vestirsi come vogliono.
Tutto questo va letto all’interno di una cornice storica e geopolitica particolarmente difficile, tra scenari di
guerra e un rischio aumentato di disimpegno degli Stati per quanto riguarda la difesa dei diritti delle donne. L’approfondimento di Simona Rossitto.
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arabia saudita
Più di 300 esecuzioni nel 2024
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Ha presieduto la commissione Onu sullo status delle donne nel corso della 68esima sessione annuale delle Nazioni unite.
Ma nel suo territorio le donne vengono informate del loro divorzio tramite sms. Si candida ad accogliere i Mondiali di
calcio del 2034 nel rispetto dei diritti umani. Ma, come sottolineano Amnesty International e Sport & Rights Alliance
in un rapporto di 91 pagine, non affronta la grave repressione della libertà di espressione esercitata dal suo governo.
Ospiterà il Forum annuale sulla governance di Internet dal 15 al 19 dicembre. Ma nelle sue carceri ci sono persone
minacciate, imprigionate e sottoposte a sparizione forzata solo per aver reso noto sul web il proprio dissenso. Tutto
questo sta accadendo in Arabia Saudita.
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Mentre da anni il Paese cerca di “ripulire” la sua reputazione promuovendo eventi a livello globale, i diritti
umani continuano ad essere calpestati. E per le donne la situazione peggiora. La contraddizione tra l’immagine
che il Paese sta cercando di costruire a livello internazionale e la situazione reale emerge chiaramente dai dati: nel
Global Gender Gap Index 2024, il rapporto introdotto per la prima volta dal World Economic Forum nel 2006 per valutare
i progressi nella parità di genere nel mondo, l’Arabia Saudita occupa la 126esima posizione sui 146 Paesi analizzati.
E comunqu si è vista assegnare i Mondiali di calcio del 2034.
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Dalla nascita fino alla morte, passando per gran parte delle scelte della vita quotidiana, in Arabia Saudita la vita
di una donna è controllata da un uomo. Ogni donna saudita ha un tutore – il padre, il marito o il fratello
e in alcuni casi il figlio – che acquisisce il potere di decidere su tutte le sfere della sua vita: è il “sistema
del guardiano” (in arabo welayah), per cui le donne sono dipendenti dal wali, ovvero un tutore “protettore”.
L’analisi della situazione femminile a firma di Nicoletta Labarile.
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calcio e diritti
Le calciatrici contro l’Arabia Saudita
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Nessuna risposta. Sono passate ormai diverse settimane dalla lettera aperta inviata da 106 (nel frattempo divenute 133) calciatrici professioniste da tutto il mondo al presidente della Fifa Gianni Infantino, affinché il governo del calcio mondiale receda dall’accordo
di sponsorizzazione con Saudi Aramco, il colosso degli idrocarburi saudita partner dei mondiali di calcio maschili del
2026 (quelli tripartiti tra Stati Uniti, Messico e Canada) e quelli femminili 2027 (che si disputeranno per
la prima volta in Sudamerica, in Brasile).
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Un silenzio che sorprende, vista l’autorevolezza delle firmatarie, il peso specifico dei temi sul tavolo (col
rifiuto della partnership con Aramco motivata dal mancato rispetto di diritti civili e umani da parte del governo di Riyad)
e il contemporaneo attivismo sociale della Fifa stessa, che proprio in questi giorni ha lanciato il World Cup 2022 Legacy
Found, investendo 50 milioni di dollari in progetti in collaborazione con Wto (Organizzazione Mondiale per il Commercio), OMS (Organizzazione Mondiale
per la Sanità) e UNHCR (Agenzia ONU per i rifugiati).
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Senza trascurare poi, scrive Dario Ricci, che – secondo quanto evidenziato dal New York Times – un report interno imporrebbe alla Fifa stessa di scendere
in campo per risarcire i lavoratori rimasti feriti (o, in caso di morte, i loro familiari) nei cantieri per
la realizzazione degli stadi proprio di Qatar2022, tema che agito’ a lungo la vigilia di quel tanto discusso Mondiale.
Insomma, non che i temi sociali non siano sul tavolo di Zurigo, ma finora nessuna voce se levata a risposta delle
richieste delle calciatrici.
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sport
Il calcio femminile italiano cresce sui social
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A chi può interessare in Italia il calcio femminile? A molti, a giudicare dal report della Figc (Federazione Italiana Gioco Calcio) relativo alla stagione 2023-2024. La community social sta per toccare
quota 200mila followers (+38mila rispetto al 2023) con 24 milioni di visualizzazioni totali dei contenuti video
e +150 milioni di impression (dato che indica il numero di volte che un utente vede comparire un contenuto nel proprio
feed); numeri raggiunti attraverso la pubblicazione di quasi 4000 contenuti di varia natura su cinque piattaforme
(Facebook, X, Instagram, YouTube e TikTok), divisi tra i profili istituzionali e un unico profilo
che si occupa contemporaneamente di due campionati nazionali (negli altri paesi le seconde serie sono praticamente invisibili
sui social).
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E non è tutto, riporta Giacomo Petruccelli, perché anche i profili social delle calciatrici convocate in Nazionale hanno visto accrescere il numero di followers:
dai 3,1 milioni del 2019/2020 ai quasi 6 milioni del 2022/2023.
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alleyweek
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