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Il Sole 24 Ore
Africa24

di Alberto Magnani

13 ottobre 2024

Elezioni&Bilanci

Il voto in Tunisia e Mozambico e i fondi (mal) spesi dalla Ue

Manifesti elettorali in Mozambico (Reuters)

Buongiorno a tutti e bentornati su Africa24. Oggi parliamo delle elezioni in Tunisia e Mozambico, con i rispettivi carichi politici e generazionali, dei fondi spesi male dalla Ue in Africa e del progetto di una agenzia di rating continentale.

Mozambico al voto, la promessa mancata della ricchezza energetica e il rebus sicurezza

Il Mozambico, oltre 30 milioni di abitanti nell’Africa australe, è andato alle urne il 9 ottobre per una tornata che includeva il voto sul rinnovo del presidente, i 250 seggi del Parlamento e le assemblee provinciali.

Il leader nazionale Filipe Jacinto Nyusi uscirà di scena dopo due mandati, aprendo le danze a una contesa con quattro candidati principali. Il favorito più evidente è Daniel Chapo, 47 anni, volto nuovo dello stesso Frente de Libertação de Moçambique (Frelimo) che domina il Paese da quasi mezzo secolo.

I concorrenti sono il 63enne Ossufo Momade, esponente della storica forza di opposizione Renamo, il suo quasi coetaneo Lutero Simango del Movimento Democrático de Moçambique (64) e soprattutto l’outsider più insidioso, il 50enne Venancio Mondlane, già membro della Renamo e ora alla testa di una campagna da indipendente che fa breccia soprattutto sulle nuove generazioni. Mentre Africa24 viene scritta, i conteggi sono ancora in corso e si profilano accuse di irregolarità simili a quelle già emerse in altre consultazioni.

L’esito delle urne sembra ovvio, con una vittoria di Chapo e il prolungamento di una dinastia politica che si preserva dall’indipendenza negli anni ’70. Gli scenari che si dischiudono non lo sono, viste le urgenze che saranno ereditate dal futuro leader del Paese. Lo Scenario.

Tunisia, Saïed vincitore con oltre il 90% dei consensi. Ma l’affluenza è ai minimi

Non si aspettavano sorprese. Non ce ne sono state. Il presidente in carica della Tunisia, Kaïs Saïed, è stato riconfermato per un secondo mandato con oltre il 90% dei voti a favore.

Già nel pomeriggio i dati diffusi dalla tv pubblica e realizzati da Sigma Conseil, una società indipendente, proiettavano Saïed verso una vittoria schiacciante sui suoi unici due avversari: Zouhair Maghzaoui e Ayachi Zammel, i complementi di una contesa a tre che si è ancora più semplificata con la sintonia fra Maghzaoui e Saïed e l’incarcerazione (e le condanne) piovute a carico di Zammel.

L’unico stridio nel trionfo già atteso da Saïed arriva dal tasso di affluenza, ritenuto uno dei pochi indicatori attendibili sul clima che si respira a Tunisi. L’agenzia AP parlava già a ridosso del voto di una partecipazione ferma al 28,8% intorno ai 3 milioni di elettori, contro il 49% registrato alle urne del 2019.

Le opposizioni avevano fatto appello al boicottaggio tout court del voto, contestando l’esclusione di 14 dei 17 candidati in corsa e la repressione del dissenso in un Paese che vacilla sull’orlo del default e pare sbilanciato da anni in un’involuzione autocratica imputata allo stesso Saïed. A raccogliere l’invito sono stati soprattutto i più giovani, grandi assenti dalle urne con una quota di appena il 6% dei votanti nella fascia fra i 18 e i 35 anni. Il servizio.

Fondi dispersi e violazioni di diritti umani, così la Ue ha speso (male) quasi 5 miliardi in Africa

Fondi utilizzati in maniera dispersiva, progetti «sopravvalutati» nella loro efficacia e un terzo motivo di critica, il più delicato: un’attenzione «inadeguata» ai diritti umani dei migranti e agli abusi a loro danno.

È il bilancio vergato a fine settembre dalla Corte dei conti Ue, un’istituzione di controllo sui fondi Ue, sui risultati e le - diverse - problematiche del cosiddetto Eu Trust Fund, o EUTF: un fondo fiduciario da 5 miliardi di euro costituito dalla Ue nel 2015 per intervenire sulle tre regioni di Sahel e lago Ciad, il Corno d’Africa e l’Africa settentrionale, alcune delle zone più sensibili per i flussi migratori nel Continente.

Bettina Jakobsen, il membro della Corte dei conti europea responsabile del rapporto, ha già parlato pubblicamente di un modello incardinato su un «sostegno frammentato» e «poco attento alle priorità strategiche», ribadendo poi a Sole 24 Ore e Der Standard le incongruenze emerse nel rapporto. Il servizio.

Fuori dal tunnel? Il Ghana emette nuovi bond

Il Ghana ha emesso il 10 ottobre un pacchetto di nuove obbligazioni in dollari, una tappa nel processo di ristrutturazione di 13 miliardi di dollari dopo l’insolvenza sovrana del 2022: la seconda dallo scoppio della pandemia di Covid dopo quella di Zambia nel 2020 ed Etiopia nel 2023.

Il giorno successivo, scrive Bloomberg, l’agenzia di rating Fitch Ratings ha assegnato ai bond una valutazione di CCC+, indicando che le obbligazioni internazionali di Accra non sono più in default. Il livello di rischio resta elevato, ma il caso di Accra apre qualche spiraglio sulla risoluzione delle crisi finanziarie dilagate nel Continente dal 2020 a oggi e oggi appese a processi di ristrutturazione complicati dalla composizione del debito.

Camerun, presidente cercasi

Il governo del Camerun ha vietato per legge di affrontare pubblicamente qualsiasi dibattito sullo stato di salute di Paul Biya, il presidente 91enne scomparso dai radar da circa un mese. La censura non riesce a arginare la preoccupazione sulla sorte di Biya, riflessa sui mercati dalle performance dei bond governativi in dollari.

Long form

Kivu, la crisi eterna fra minerali ed Mpox

Non è facile toccare con mano una maledizione, ancora meno rimpiangerla. Rehhema Nvunabandi è riuscita a trovarsi in entrambe le situazioni prima di arrivare ai 30 anni. Per quasi un decennio ha lavorato «da mattina a sera» in una miniera a Rubaya, un villaggio a nord di Goma, comprando e rivendendo porzioni di coltan e manganese scalpellate nel sottosuolo. Nelle giornate migliori tornava a casa con 50mila franchi congolesi, l’equivalente di più di 17 dollari americani al giorno al tasso di oggi.

Poi è esplosa, o meglio, riapparsa la guerra sul confine con il Rwanda. Da allora ha perso la sua fonte di sussistenza e tutto il resto, spiega da un campo profughi che ospita 50mila sfollati e si gonfia di giorno in giorno su valori sempre più drastici fra tende ammassate l’una sull’altra, strade imbevute di fango e qualche negozio improvvisato fuori dalla baracche.

La maledizione vissuta da Nvunabandi, madre di cinque figli, è la stessa che imprigiona da decenni la Repubblica democratica del Congo e la sua frontiera orientale: il paradosso di una ricchezza naturale che alimenta più sofferenze che benefici alla popolazione distribuita a est, soprattutto fra le province di Sud Kivu, Nord Kivu e Ituri.

L’epicentro di quello «scandalo geologico» che affossa dalla sua nascita il Congo, incastrandolo da decenni in una guerra a ruoli variabili fra Kinshasa e i vicini di casa. Come anticipato su Africa24 del 30 settembre, il nostro long form sulla crisi eterna della Rd Congo.

Il costo dei pregiudizi

Africa, la sfida di un’agenzia di rating per sfuggire ai bias occidentali

Il presidente della Banca africana di sviluppo, Akinwumi Adesina, ha una sua dimestichezza con le sintesi.

In una delle ultime dichiarazioni ha toccato un nervo scoperto nei rapporti fra le economie africane, gli investitori internazionali e le agenzie di rating: il costo di indebitamento in Africa è di due-tre volte maggiore delle media perché «è basato sul rischio, ma soprattutto sulla percezione del rischio - ha detto Adesina a un evento della testata Semafor Africa - Beh, mi dispiace, ma la vostra percezione non è la mia realtà».

Adesina si riferiva alle distorsioni nella valutazione del rischio per i Paesi del Continente e, soprattutto, a uno degli argini attesi: la costituzione della Africa Credit Rating Agency (AfCRA), un’agenzia di rating dell’Unione africana che possa «fornire effettivamente un contrappeso alle agenzie di credito esistenti», in modo che «il rischio dell’Africa sia affrontato in modo adeguato» rispetto ai giudizi espressi da colossi come S&PGlobal Ratings, Fitch e Moody’s. Lo Scenario.

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