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– di Alberto Magnani
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IL DIVORZIO LONDRA-UE
Labirinto Brexit, ora Juncker vede uno spiraglio
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Jean Claude Juncker e Boris Johnson (Epa)
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Il rischio di una Brexit no-deal è «palpabile». Anzi, no: si potrebbe arrivare a un accordo rimettendo mano alla clausola sui confini irlandesi, il passaggio più ostico nelle trattive con il Regno Unito. Jean-Claude Juncker era uscito preoccupato dal faccia a faccia con il premier britannico Boris Johnson dello scorso lunedì, spiegando ai parlamentari europei riuniti a Strasburgo tutti i suoi dubbi sui margini di un’intesa
entro la scadenza del 31 ottobre. Dopo aver parlato all’Eurocamera, però, deve essere cambiato qualcosa: in un’intervista
all’emittente Sky News di giovedì, a meno di 24 ore dal suo briefing in plenaria, il numero uno della Commissione uscente ha rivelato la possibilità di un compromesso con Londra.
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Juncker sarebbe ora disponibile a scovare un’alternativa all’argomento più controverso sul tavolo delle trattative: il backstop, l’accordo per la non-costruzione di un confine fisico tra Irlanda e Irlanda del Nord, guardato con orrore dai conservatori (e da Johnson) perché minerebbe
l’integrità del Regno Unito. L’apertura di Juncker può allentare le tensioni, ma il quadro resta del tutto convulso. La Finlandia, il paese che ricopre la presidenza di turno del Consiglio della Unione europea, ha cercato di
imporre un ultimatum a Londra perché si presenti con un piano definito di divorzio entro il 30 settembre.
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Downing Street ha risposto come era prevedibile («no»), replicando che la bozza sarà presentata a «tempo debito». Johnson vede nella riunione del Consiglio europeo del 17-18 ottobre l’ultima finestra utile per discutere
e concordare un deal sulla Brexit. Il margine è stretto, soprattutto se si considera un dettaglio: oltre ai leader europei,
Johnson deve incassare il via libera formale sia della Camera dei Comuni che dell’Eurocamera. Senza si andrebbe
verso una rottura no-deal, ma anche qui la strada è tutt’altro che spianata.
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Qui Londra. La Brexit no-deal è già stata ampiamente e apertamente osteggiata dal Parlamento britannico, tra l’altro nel vivo dellasospensione forzatadecisa da Johnson fino a metà ottobre. Oltre alla mozione approvata dalla Camera dei Comuni per opporsi a un divorzio brusco dalla Ue, lo speaker uscente John Bercow ha messo in chiaro che si metterà di traverso a qualsiasi tentativo di strappo da
Bruxelles senza accordi di tutela. I piani grandiosi di Johnson per la nuova vita dell’Isola dopo l’uscita
dalle Ue non riescono a convincere i parlamentari che sia il caso di inoltrarsi nello status di paese terzo senza almeno un
periodo di “cuscinetto” o una serie di accordi su commercio e servizi finanziari.
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Qui Strasburgo-Bruxelles. Le cose non vanno benissimo neppure nell’altro Parlamento chiamato in causa, quello della Ue. L’Eurocamera
ha votato mercoledì con 544 voti a favore, 126 contrari e 38 astensioni una risoluzione che ribadisce il supporto
della Camera a una «Brexit ordinata». Sarebbe a dire? Il testo mette in chiaro che un divorzio senza accordi sarebbe «colpa del Regno Unito», rinnovando la sua offerta di un rinvio rispetto alla data del 31 ottobre 2019. Johnson è cosciente del peso
dell’Eurocamera per un via libera all’eventuale accordo Londra-Ue e ha invitato il presidente dell’Eurocamera
David Sassoli a un incontro nella City. Sassoli ha detto sì.
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I FATTI DELLA SETTIMANA
Storie da Bruxelles, e non solo
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1) Commissione, arrivano le “interrogazioni” per il team von der Leyen
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Paolo Gentiloni (Ansa)
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Il numero uno in pectore della Commissione, Ursula von der Leyen, ha partecipato giovedì alla «conferenza dei presidenti dell’Eurocamera
a Strasburgo»: la riunione dei responsabili dei vari gruppi politici del Parlamento Ue. I temi sul tavolo erano
lacalendarizzazione dei colloquidei vari commissari designati con il Parlamento e la discussione di alcuni dubbi dei leader politici. Anzi, di un
dubbio: la scelta di istituire un portafoglio per la «protezione dello stile di vita europeo», assegnato al greco Margaritis Schinas e considerato un ammiccamento alle pulsioni nazionaliste dei governi dell’Est
Europa.
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Sul primo fronte, quello delle audizioni, sono emerse le date per i vari commissari. Si inizia il 30 settembre e si finisce l’8 ottobre, con la triade dei vicepresidenti esecutivi Valdis Dombrovskis, Margrethe Vestager e Frans Timmermans. PaoloGentiloni si sottoporrà il 3 ottobre al “torchio” dalla commissione Problemi economici e monetari dalle 9 alle 12. Anche sul secondo fronte,
quello della controversia sulle nomine, si è arrivati a un’intesa. Esponenti dei liberali di Renew Europe
e dei Verdi hanno dichiarato che von der Leyen è pronta a modificare il nome della delega, sgradito a quasi tutte le famiglie politiche (con l’eccezione notevole dei Popolari, il gruppo di centrodestra
capitanato dal tedesco Manfred Weber) .
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2) Italia-Francia, quasi amici come prima
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Emmanuel Macrone Giuseppe Conte (Ansa)
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L’incontro dello scorso mercoledì fra Emmanuel Macron e Giuseppe Conte ha simboleggiato il disgelo fra Roma e Parigi, dopo il crollo del governo con la Lega e il rientro delle tensioni che si erano susseguite nei 14 mesi dell’esecutivo
gialloverde. Il colloquio, preceduto da un bilaterale di Macron con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, è ruotato intorno ai due dossier principali sul tavolo: crisi libica e questione migratoria.
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Sul fronte libico si è arrivati, almeno a parole, a una convergenza tra i due paesi. I due leader, dice Conte, hanno convenuto che è «fondamentale lavorare costruttivamente insieme e
avere il medesimo obiettivo, coinvolgendo tutti i partner. L'obiettivo è la stabilizzazione del paese».
Anche sulla questione migranti,vecchia ragione di attrito fra i due, Conte e Macron hanno convenuto sull’urgenza di creare un meccanismo europeo per gli sbarchi, la ridistribuzione
e una gestione efficace dei rimpatri.
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L’ipotesi che verrà approfondita nel faccia a faccia tra il neoministro degli Esteri Di Maio e il suo omologo francese Jean-Yves Le Drian, anche in vista del mini-summit dei ministri dell’Interno di Malta previsto per il 24 settembre. Macron
e Conte hanno concordato un vertice Italia-Francia per l’inizio del 2020, con l’obiettivo di ultimare
il «trattato del Quirinale» rimasto in sospeso dopo i primi tentativi nel 2018: un accordo che copra tutti i rapporti politici e commerciali
fra Roma e l’Eliseo, rinsaldando la collaborazione dopo le ultime involuzioni nei rapporti.
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3) Non c’è la maggioranza, Spagna di nuovo al voto
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Pedro Sanchez (Afp)
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Quattro elezioni in quattro anni. È il record raggiunto dalla Spagna, dopo l’ennesimo flop dei negoziati per dare vita una coalizione di centrosinistra che mettesse a frutto i risultati del voto di maggio.
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Il sovrano Felipe VIha constatato l’impossibilità di un’intesafra i socialisti dell’ex premier Pedro Sanchez e la sinistra radicale di Podemos, affossando l’ipotesi di
un governo progressista tentata fin dalle prime settimane successive alle urne.
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Sanchez si era inizialmente offerto di accogliere Podemos nel suo esecutivo, incassandone il rifiuto e tornando alla carica con una proposta meno appetibile (appoggio esterno,
senza partecipazione attiva al governo). Gli spagnoli torneranno a votare il 10 novembre.
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RASSEGNA STAMPA
Cosa abbiamo letto in giro, varie ed eventuali
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1) Ue, non fare promesse (climatiche) che non puoi mantenere
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Una manifestante durante gli scioperi contro il climate change (Reuters)
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La presidente della Commissione Ursula von der Leyen sta spingendo per l’attuazione di un «green deal europeo», con l’obiettivo di trasformare la Ue nel primo Continente a impatto zero entro il 2050. Il progetto è
lodevole, ma quali sono i margini per realizzarlo davvero? Pochi: le divergenze politiche, economiche
e industriali fra paesi del’Ovest e dell’Est Europa rischiano di vanificare le promesse di von der Leyen prima ancora che la sua legislatura entri nel vivo. Il commento è su Bloomberg.
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2) La crisi in Spagna e il «tempo perduto» Tiempo perdido, tempo perduto. Sanchez non riesce a formare un esecutivo nonostante la vittoria al voto di maggio, destinando
Madrid alle quarte elezioni nazionali nell’arco di quattro anni. L’instabilità cronica della politica spagnola sta rubando mesi (e anni) preziosi per le riforme
strutturali che servirebbero al paese, dalle autonomie regionali al sistema fiscale. Per ora l’economia ha retto bene, andando addirittura in crescita, ma il 2020 potrebbe riservare una brusca battuta d’arresto, anche sull’onda
della Brexit e dei suoi impatti sul mercato comunitario. L’editoriale è su El Pais.
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3) Protezione dello «stile di vita europeo»? Bisogna chiarire «La protezione dello stile di vita europeo deve in ogni caso riguardare tutti coloro che vivono in Europa. Europei
e non europei». Il presidente del Parlamento europeo David Sassoli ha commentato così, in una intervista
al quotidiano franceseLe Monde, la scelta di intitolare un portafoglio alla «protezione dello stile di vita europeo». Sassoli contesta
alcune ambiguità della delega, soprattutto nei suoi rapporti con il tema delle migrazioni: «Il legame che
ha stabilito tra migrazione e protezione non era chiaro - dice - A mio parere, dovrebbe riflettere su come integrare
meglio questi valori nella definizione del portafoglio del futuro Commissario».
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VIDEO DELLA SETTIMANA!
Piazze piene contro il climate change
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