FGF weekend \ La nostra città futura
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FORZA LAVORO!
“Non siamo eroi, siamo lavoratori”. Con questi cartelli in mano sono scesi in piazza in 40 città italiane gli infermieri che durante l’emergenza Covid-19 hanno dimostrato la centralità del loro lavoro, nonostante i contratti precari e le paghe basse (SkyTg24). E lo stesso messaggio è arrivato dai rider delle consegne del cibo a domicilio, tra i pochi a popolare le città durante il lockdown, i quali, dopo aver manifestato contro il divieto di trasportare le biciclette sui treni lombardi (Pressenza), sembrano aver vinto la battaglia con Trenord che metterà a disposizione delle carrozze a uso esclusivo per le bici. Una vittoria che arriva dopo il commissariamento di Uber Eats con l’accusa di caporalato digitale (Il Mulino). Sono i lavoratori essenziali, come gli altri nove milioni di cassiere, operai dell’industria alimentare, braccianti agricoli, conducenti di tir, addetti della logistica ecc. Una grande “infrastruttura umana” che ha permesso alla nostra società di reggere e di poterci chiudere in casa. Essenziali – ha scritto Dario Di Vico sul Corriere – che in qualche caso però sono stati costretti a scioperare anche solo per avere in dotazione i dispositivi di protezione individuale. Essenziali, come gli operai del magazzino Bartolini di Bologna, dove è esploso un nuovo focolaio di coronavirus, perché – secondo la Ausl – i lavoratori non indossavano le protezioni e non si rispettavano le distanze (Next). Essenziali, come i braccianti stranieri, che raccolgono la frutta e gli ortaggi, costretti a vivere nei ghetti senza diritti. Ci siamo accorti di loro quando sono venuti a mancare, tanto da aver organizzato voli charter per garantire i raccolti (L’Espresso). Eroi del coronavirus prima, invisibili o addirittura al centro della violenza della polizia nella fase due (FanPage). Come è accaduto a Parigi a Farida, infermiera brutalmente fermata durante una manifestazione. “Per tre mesi – ha raccontato la figlia – mia madre ha lavorato fra le 12 e le 14 ore al giorno. Ha avuto il Covid. Manifestava per chiedere di rivalutare il suo salario, perché riconoscano il suo lavoro”. ![]()
![]() Stati invisibili In occasione degli Stati Generali dell’Economia, il sindacalista dell’Usb e sociologo Aboubakar Soumahoro si è incatenato vicino a Villa Pamphilj, chiedendo la riforma della filiera alimentare, il varo di un piano nazionale emergenza lavoro e il cambio delle politiche migratorie. E dopo esser riuscito a farsi ricevere dal premier Giuseppe Conte, ha lanciato la convocazione degli Stati Popolari a Roma, con “i giovani, i precari, i senza casa, i lavoratori a cottimo, le persone che vivono forme di razzializzazione in Italia” (HuffPost). Perché se la lista delle rivendicazioni del mondo del lavoro era ampia già prima della emergenza sanitaria, durante la pandemia è cresciuta e crescerà ulteriormente nei prossimi mesi (Financial Times), tanto da far parlare di un vero e proprio “autunno caldo” alle porte. Il dogma governativo del “nessuno deve perdere il lavoro con il coronavirus” si è rivelato fallace. Il blocco dei licenziamenti e la cassa integrazione allargata non hanno impedito la perdita del lavoro a chi aveva contratti a termine, in somministrazione o stagionali: sono stati 400.000 i posti di lavoro a tempo persi tra marzo e aprile (Rep). Il costo della crisi, spiega Andrea Garnero dell’Ocse, “si è scaricato al margine del mercato, tra le categorie più vulnerabili: giovani, disoccupati, precari” (FanPage). E se la disoccupazione cala, si impennano gli inattivi e gli scoraggiati, soprattutto tra le donne e i più giovani (Il Sole 24 Ore). Mentre quasi 135mila lavoratori non hanno ancora ricevuto nessuna integrazione salariale Covid-19 (Next). ![]() La salute del lavoro La pandemia ha fatto emergere quanto siano centrali la sicurezza e la salute sul lavoro. Nel 2019, gli incidenti mortali sul lavoro in Italia sono stati 1.089. Morti che nella maggior parte dei casi rimangono invisibili. L’esperienza del coronavirus ha contribuito a spezzare questa invisibilità, ma alla universalità potenziale del rischio del contagio non si è accompagnata un’universalità effettiva delle tutele, spiega Arianna Tassinari. Al contrario, la pandemia ha rivelato con forza le diseguaglianze nel mercato del lavoro, italiano e non solo. Diseguaglianze tra chi è stato costretto ad andare al lavoro e chi ha potuto lavorare da casa: circa il 30% della forza lavoro italiana ha avuto accesso allo smart working, il 60% della quale impiegata però nella parte medio-alta della struttura occupazionale (EticaEconomia). Una situazione inedita che, come scrive Denis Maillard per la Fondation Jean Jaures, ha messo a nudo il “back office” della società dei servizi, ribaltando la realtà precedente: i lavoratori non essenziali, che prima appartenevano al “front office” della struttura occupazionale, sono rimasti a casa lavorando in smart working e diventando “invisibili”; mentre gli essenziali che prima erano nel “back office” sono finiti sotto i riflettori. Non solo mostrando la centralità del proprio lavoro nella tenuta del sistema economico dei nostri Paesi, ma anche le storture della loro stessa condizione lavorativa e sociale. È tempo, scrive allora Marta Fana, di “scusarci con i lavoratori pagati poco”.
LA PANDEMIA DISUGUALE I contratti precari e le paghe basse si concentrano infatti proprio tra coloro che hanno retto la società in lockdown: servizi di pulizia, logistica, cassiere ecc. Ed è nei segmenti più vulnerabili della forza lavoro che la crisi post-Covid avrà il suo impatto più forte (Voxeu). È bene dunque che discussione sul coronavirus si trasformi in un dibattito sulle disuguaglianze strutturali che la pandemia ha reso più visibili. Condizioni che non sono un prodotto del virus, ma ne amplificano l’impatto, scrivono dal World Economic Forum. Se i consumi negli Stati Uniti sono crollati più tra i ricchi che tra i poveri, è perché chi ha un reddito basso non può comprimere più di tanto le spese. Il problema però è che i consumi da ricchi richiedono il lavoro di molti lavoratori a basso reddito, quindi il crollo della spesa mensile non riduce la disuguaglianza ma la esaspera. Il Brookings Institution ha mostrato proprio come negli Usa il virus abbia inasprito le differenze tra lavoratori e fasce di reddito. Lo ha detto anche la Banca d’Italia nel suo rapporto annuale: la disuguaglianza nella distribuzione del reddito da lavoro, misurata dall’indice di Gini, nel primo trimestre 2020 in Italia risulta già aumentata di circa due punti percentuali, al 37% (Fatto Quotidiano). ![]() Welfare a metà Senza un sistema di ammortizzatori sociali universale, il governo italiano è ricorso a misure tampone per raggiungere tutti i lavoratori che necessitano di sostegno. E così è stato messo in piedi il Reddito d’emergenza, ma alcuni aspetti della misura, a partire dalla durata di due soli mesi, rischiano di ridurne la portata, facendo emergere poi come dopo la risposta emergenziale bisognerà mettere mano a una riforma del Reddito di cittadinanza per un contrasto strutturale alla povertà (Eticaeconomia). Gli ultimi dati Istat sulla povertà mostrano infatti come il sussidio penalizzi le famiglie numerose e i migranti (Linkiesta). È stato poi istituito, tra le critiche, un bonus per gli autonomi per tamponare le perdite di fatturato (Corriere). Il governo ha approvato una miniregolarizzazione dei migranti impiegati in agricoltura e nel lavoro domestico, che però non sembra decollare affatto (Wired), e da ultimo la ministra Nunzia Catalfo ha annunciato un bonus per gli stagionali (HuffPost). La struttura dei sistemi di welfare ha fatto la differenza nel determinare le conseguenze sull’occupazione. I Paesi con sistemi di welfare e protezione del lavoro più robusti, come la Germania e i Paesi scandinavi, hanno retto meglio infatti in termini di mantenimento dei livelli occupazionali rispetto a Paesi come Stati Uniti e Regno Unito. Sia perché l’incidenza dei lavori atipici è minore, ma soprattutto perché hanno utilizzato immediatamente strumenti di protezione sociale in grado di sostenere il reddito dei lavoratori nei mesi di lockdown (SocialEurope). ![]() Un piano per il lavoro L’elenco delle richieste del mondo del lavoro, già denso ed esteso prima della crisi pandemica, crescerà significativamente nei prossimi mesi: eppure – commenta Loris Caruso – “è difficile comprendere perché da un bacino così ampio e diffuso non possa emergere una mobilitazione generale e unitaria, nel senso del co-protagonismo tra figure lavorative, bisogni e interessi sociali”. Come immaginare un’alternativa alla situazione esistente? Se dalle imprese (Fortune) ai sindacati (Manifesto) in tanti ora chiedono una nuova fase di concertazione per la ripartenza, l’ispirazione si può trovare oggi nel “Piano Lavoro” presentato da Giuseppe Di Vittorio al congresso della Cgil del 1949 a Genova, scrive Agostino Megale. Un programma di ampio respiro che, insieme agli investimenti nelle infrastrutture e al rilancio dell’industria manifatturiera, puntava a risolvere i problemi reali quotidiani affrontati da milioni di persone, dagli “ultimi della terra” che si spaccavano la schiena nei campi ai giovani costretti a emigrare. Proprio come accade oggi. Da questa crisi, conclude Megale, si può uscire in due modi: con più diseguaglianze e maggiore povertà, oppure con meno diseguaglianze e più occupazione, accompagnati da un nuovo statuto dei diritti e delle tutele per tutti i lavoratori, dipendenti e partite Iva. Nessuno escluso.
T'IMMAGINI SE “Davanti a un tornio ti vorremmo vedere! Cosa sono i versi? Parole inutili! Certo che per lavorare fai il sordo”. A noi, forse, il lavoro più d’ogni altra occupazione sta a cuore. Sono anch’io una fabbrica. E se mi mancano le ciminiere, forse, senza di esse, ci vuole ancor più coraggio.
Nel reportage fotografico Oro Rosso, Michela Frontino, documenta le insostenibili condizioni abitative dei migranti che lavorano nei campi in alcune aree del territorio pugliese.
CI VEDIAMO IN FONDAZIONE Ciclo di incontri: Forza Lavoro! | primo appuntamento: Tutelare tutti i lavoratori per guardare al futuro | martedì 30 giugno alle 18.30
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